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Di Cristina Gauri -25 Settembre 2019
Roma, 25 set – Non bastano più i porti aperti: la Chiesa ora vorrebbe che ce li prendessimo direttamente in casa. E per “casa” non intende il “suolo patrio”, ma proprio le nostre abitazioni fisiche, e dare loro del cibo. “Apriamo i porti e spalanchiamo le porte delle nostre case”, così ha detto testualmente il vescovo di Cefalù Giuseppe Marciante, per celebrare l’edizione numero 105 della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato. L’iniziativa, fissata per domenica prossima, ha la firma del Servizio pastorale missionario e di cooperazione tra le Chiese, della Migrantes, della Caritas diocesana e del Servizio di pastorale familiare che invitano famiglie e parrocchie ad “aggiungere un posto alla propria tavola per un fratello immigrato, per rendersi segno evidente di accoglienza verso gli ultimi, testimonianza diretta di una Chiesa che impara a capire come gli ‘scarti’ diventino pietra angolare”.
Del resto lo ha ribadito anche Bergoglio: “La risposta alla sfida posta dalle migrazioni contemporanee si può riassumere in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare“. E Marciante ha rilanciato subito. “Non lasciamoci travolgere dall’odio, dal populismo e dalla paura dell’altro. La luce del Cristo trasfigurato faccia nascere o rafforzi in noi la mentalità dell’accoglienza e dell’integrazione, ci spinga a un forte rinnovamento interiore che ci allontani dal vedere nel fratello immigrato un peso da portare”. Insomma, con la scusa del del “forte rinnovamento interiore” dobbiamo toglierci il pane di bocca per darlo ai “fratelli migranti”. Si inizia con la tavola, poi magari l’anno prossimo ci chiederanno di riservargli un posto letto nelle nostre abitazioni. E così via…
Cristina Gauri
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