Carola Rackete racconta la sua versione di cosa stava accadendo sulla Sea Watch 3 la notte dell o speronamento.
La trafficante umanitaria parla di violenza a bordo della nave tra i clandestini e l’atteggiamento ostile di quelli che lei definisce naufraghi nei confronti dell’equipaggio.
Con la radio interna alla nave, la Rackete avrebbe appreso di una rissa tra immigrati. Da qui, secondo il suo racconto ai giudici, l’idea di accelerare lo sbarco dato che “la situazione a bordo era diventata insostenibile”.
Quindi, siccome avevano fatto un carico di delinquenti, non potevano più tenerli a bordo e hanno deciso di scaricarli in Italia.
“Ho deciso di entrare in porto alle 23, perché non c’ era più alcuna opzione rimasta. Dopo tre tentativi mi ha risposto un canale radio, “Lampedusa Traffic”, quindi ho cercato di comunicare la mia intenzione, ma non parlavano inglese. Allora ho spiegato all’ equipaggio che le manovre dovevano essere fatte molto lentamente, perché eravamo stanchi ed era la prima volta che attraccavo a Lampedusa”.
Ma le viene comunicato il divieto assoluto di attracco in porto come previsto dal provvedimento notificato alla Rackete: “Dicevano: “Non hai il permesso, non sei autorizzata”. Mi sono resa conto che non potevo navigare e parlare con loro. Come quando guidi la macchina, non dovresti usare il telefono. Ho detto per l’ultima volta che stavo andando al molo, che non potevo utilizzare la radio e che dovevano rimanere in stand-by”.
“Si sono messi davanti a me, io stavo procedendo a velocità molto bassa. Poi ho girato e loro sono andati al molo. Dal ponte non puoi vedere cosa succede lateralmente. Di solito c’è una videocamera, però era rotta dall’inizio del viaggio (ma guarda il caso! ndr). Mi sono spostata fuori dal ponte, per vedere se potevo andare indietro o in un altro posto del molo. Ero sicura che si sarebbero spostati loro, perché sapevano che avevo bisogno di ormeggiare”.
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