Home Approfondimenti Il (falso) mito della resistenza: l’attualità di un libro dimenticato📷ApprofondimentiCultura
Di La Redazione -15 Luglio 2019 (il Primato Nazionale).
Roma, 15 lug – In un celebre e dimenticato saggio dal titolo “Il mito della resistenza” (Rizzoli, 1992), Romolo Gobbi, docente di Storia dei movimenti e partiti politici all’Università di Torino, sostiene che intorno alla resistenza è stato costruito volontariamente un mito per renderla il fondamento, l’unico dello Stato sorto dopo il 1945 allo scopo in primo luogo di assolvere gli italiani dal senso di colpa per essere stati in grande maggioranza fascisti e per aver accettato l’alleanza con i nazisti. E, in secondo luogo, il mito della resistenza è nato per impedire il formarsi di una vera dialettica tra governo e opposizione. In altri termini questo mito non ha consentito una vera alternanza del potere.
Ebbene, prosegue Gobbi, il perdurare dell’ideologia resistenziale ha prodotto altri guasti in Italia perché è stato determinante per la nascita e lo sviluppo del terrorismo. Infatti il terrorismo delle Br e dei NAP (Nuclei Armati Proletari) non fu altro che una prosecuzione ideale della resistenza contro la borghesia capitalistica e il fascismo. Insomma fu proprio per continuare la resistenza, cioè per portarla termine, che nacque negli anni ’70 il terrorismo di sinistra. Fra i miti, costruiti dal Pci per legittimare il suo potere, Gobbi prende poi di mira gli scioperi nel marzo del 1943 che non furono affatto un preannuncio della resistenza. Questi scioperi non furono organizzati dai comunisti per motivi politici ma furono eventi spontanei motivati da ragioni di pura e semplice sopravvivenza.
Assenteismo e saccheggi
C’è poi un altro mito: la caduta di Mussolini non fu determinata dalla resistenza ma fu la conseguenza di un fatto interno al regime: da Grandi a Badoglio, fino alle alte gerarchie militari e al re. Per quanto riguarda l’8 settembre non solo non vi fu alcuna collaborazione in senso anti-tedesco tra esercito e operai, ma non vi fu neppure una disubbidienza di massa. Anche in questo caso, solo istinto di sopravvivenza: ad andare in montagna furono al massimo 1200 o 1300 militari, mentre la formazione delle bande partigiane non fu affatto una scelta voluta e premeditata ma dettata da ragioni casuali e di contingenza pratica. Dopo l’8 settembre gli operai non si unirono in modo eroico ai partigiani ma si limitarono a non lavorare, all’assenteismo e ai saccheggi.
In quanto alle motivazioni ideali dei componenti della resistenza partigiana anche questo è un semplice mito: la maggioranza dei componenti delle bande partigiane, era costituita da renitenti alla leva fascista e la scelta partigiana fu molto spesso una scelta di comodo. Quanto al cosiddetto appoggio totale e incondizionato dei contadini ai partigiani, anche questa è una falsità storica: fra contadini e operai vi fu una reciproca ostilità e diffidenza.
Opportunisti e doppiogiochisti
Mentre le azioni eroiche degli industriali vanno ridimensionate dal punto vista storico: gran parte di questi fecero non solo il doppio ma addirittura il triplo gioco fra tedeschi, resistenza e alleati, pur di salvare gli stabilimenti e i loro profitti. Proprio per questo furono risparmiati dai bombardamenti alleati (si pensi a Vittorio Valletta e alla Fiat).
E il ruolo che ebbe l’insurrezione dei partigiani e degli azionisti? Dettata da motivi di vendetta nei confronti dei fascisti. Servì anche per una questione di potere: infatti i partiti del CLN ebbero la possibilità di spartirsi le principali cariche pubbliche prima che arrivassero gli alleati, instaurando in questo modo una lottizzazione che avrebbe poi caratterizzato tutta la storia della Repubblica italiana. Quanto al Partito d’Azione, questo era inesistente ma onnipotente poiché espressione del capitale finanziario.
Roberto Favazzo
Comments