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“Così toglievamo i bambini alle famiglie”. Parla la pentita di Bibbiano

CronacaPrimo Piano (il Primato Nazionale).

Di Elena Sempione -30 Luglio 2019

Roma, 30 lug – Più vanno avanti le indagini e più la verità sul «modello Bibbiano» stanno venendo alla luce. E i contorni della vicenda sono agghiaccianti. A parlare con gli inquirenti è stata Cinzia Magnarelli, assistente sociale finita sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti dell’inchiesta Angeli e Demoni. Come riportano Francesco Borgonovo e Antonio Rossitto su La Verità, la pentita di Bibbiano ha confessato di aver falsificato alcune relazioni affinché i giudici del Tribunale dei Minori strappassero i bambini alle proprie famiglie e li dessero in affido. «Ci spingevano sempre ad agire così», ha dichiarato l’assistente sociale.

La confessione della pentita di Bibbiano

Accusata di falso ideologico, frode processuale, violenza privata e tentata estorsione, la pentita di Bibbiano, nella sua confessione al gip Luca Ramponi, ha ammesso che «è vero, ho modificato quelle relazioni, ma l’ho fatto a causa delle pressioni che subivo dai miei superiori. Mi sono adagiata per del tempo, ma poi non ce la facevo più: per questo ho chiesto il trasferimento». Un trasferimento ottenuto nel settembre 2018, dopo che il peso della sua attività era diventato insostenibile. «Io ho sempre pensato di muovermi nella massima tutela per i minori», ha dichiarato la Magnarelli. Che poi spiega: «Il motivo per cui ho deciso di fare richiesta di trasferimento dal servizio che stavo svolgendo a un altro servizio, sempre nella pubblica amministrazione, è che mi ero resa conto che il servizio sociale utilizzava come criterio principe il controllo invece dell’aiuto».

«Pensavano solo a togliere i bambini»

La pentita di Bibbiano passa quindi a illustrare il modus operandi dei suoi superiori: «Laddove certe problematiche si sarebbero potute risolvere con il supporto alle famiglie – ha spiegato la Magnarelli – si prediligeva comunque la valorizzazione degli elementi che potevano portare a una richiesta di trasferimento del bambino a sede diversa da quella familiare. Nel corso del tempo ho metabolizzato il funzionamento del sistema. Il lavoro che facevo all’interno dell’equipe veniva criticato dai miei superiori. Nelle relazioni che sarebbero poi state mandate alla magistratura c’era sempre una predilezione per una visione dell’educazione del bambino scollegata dalla famiglia. Non veniva ritenuto equo e adatto il supporto all’interno della famiglia». In pratica, a detta della pentita, i suoi superiori tentavano in ogni modo di strappare i bambini alle proprie famiglie per darli in affido. Spesso e volentieri ricorrendo a documentazione falsificata.

Elena Sempione

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