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“Così i giudici hanno aiutato gli orchi di Bibbiano”. Le rivelazioni choc dell’ex magistrato

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Di Cristina Gauri -2 Agosto 2019

Reggio Emilia, 2 ago – Finalmente l’ex giudice Francesco Morcavallo ha trovato orecchie disposte ad ascoltarlo. Orecchie che vogliono conoscere ogni particolare ancora celato riguardando lo scandalo degli affidi illeciti della Val d’Enza. Sì perché Morcavallo è stato testimone diretto dell’orrore operato dagli orchi dei servizi sociali di Bibbiano, denunciando con altri due colleghi le irregolarità e gli abusi del sistema di affidi, e scontrandosi contro il muro di gomma delle omertà e delle omissioni, giocandosi anche la carriera di magistrato.

Denunce inascoltate

Ora che il vaso di Pandora è stato scoperchiato e tutti si interessano al caso Bibbiano, l’ex giudice ha gioco facile: ma non è sempre stata così. In un’intervista apparsa ieri sul Giornale.it aggiunge nuovi tasselli a quell’inferno. Innanzitutto parlando delle anomalie di tipo amministrativo. “Abbiamo  fatto degli esposti su anomalie enormi”, spiega. “Sparivano fascicoli. Noi decidevamo di riassegnare i bambini alle famiglie naturali ma, le nostre decisioni venivano revocate da altri giudici. Noi mandavamo i bambini a casa e, dopo poco, venivano riportati via”. Nessuno operava controlli sull’attendibilità delle segnalazioni dei servizi sociali. “Non c’era e non c’è una verifica. Il giudice deve verificare due cose, che la relazione contenga dei fatti che giustifichino le valutazioni e che quei fatti siano veri. Il giudice deve accertare i fatti per capire se deve provvedere e come farlo.” E Morcavallo, segnalando queste irregolarità, si è tirato la zappa sui piedi. “Ci sono stati dei veri e propri provvedimenti nei miei confronti poi, successivamente, annullati dalla Cassazione”. Fino alla decisione di lasciare il tribunale dei minori. “Non ce la facevo più. É doloroso trovarsi ad operare consapevole di essere al centro di un sistema del genere, senza riuscire a fare niente. É disumano. Ho dovuto dimettermi.”

Chi controlla i controllori

Una cosa è certa, l’ex giudice prima di arrendersi le aveva provate tutte. “Io e altri due colleghi abbiamo denunciato tutto al Csm, alla Procura Generale, alla Corte di Cassazione, a tutte le autorità di garanzia. Ma nulla. Nessuno si è mosso. Per fortuna ci ha pensato la procura di Reggio Emilia”. Ma per Morcavallo il sistema è una cane che si morde la coda: “Il problema è che in queste istituzioni operano gli stessi referenti politici dei gestori di questo sistema assurdo”. Un’accusa alle istituzioni quindi, che invece di vigilare, si giravano dall’altra parte, o peggio coprivano. “Ha sentito un magistrato, un presidente di un tribunale, un componente del Csm, chiedere scusa? Non dico dimettersi. Solo chiedere scusa. Non è stato fatto. Qualcuno è arrivato persino a dire ‘io sono la vittima’, che credo sia anche offensivo per le vere vittime di questo sistema”.

Lo strapotere dei servizi sociali

L’ex magistrato punta il dito contro l’enorme potere che i giudici assegnavano ai servizi sociali, libero di fare il bello e il cattivo tempo sulla pelle di minori e famiglie naturali: “Facevano subito un provvedimento urgente che, come minimo, era di affido del bambino ai servizi sociali. Questo è come dire ai servizi sociali da questo momento tu, fai quello che vuoi. Sottoporre il bambino a terapie, fagli fare dei percorsi in cliniche diagnostiche, terapie psicofarmacologiche, molto spesso addirittura lo allontanavano e disponevano che venisse portato in una casa-famiglia”. Morcavallo è di un’altra scuola: a Panorama spiegò che “che l’interesse del minore debba prevalere, e che il suo restare in famiglia, là dov’è possibile, coincida con questo interesse. È la linea meno invasiva, la stessa seguita dalla Corte costituzionale e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo”.

L’eterno ritorno alla casa famiglia

Da lì partiva l’iter di controlli, sedute di psicoterapia, visite, relazioni (spesso inventate, come abbiamo visto), processi penali, che nonostante finissero con l’assoluzione dei genitori naturali, non garantivano il ritorno a casa dei bambini sottratti alla famiglia naturale. “Innanzitutto, la verifica del tribunale dei minori è autonoma da quella del tribunale penale ed è molto più lenta. Ma il punto è che subentrano degli altri fattori di valutazione che non dovrebbero subentrare.” L’iter, cioè, ripartiva dall’inizio, con verifiche e relazioni. Quasi tutte falsificate. “Il punto è che le relazioni vengono fatte dalle associazioni che seguono il bambino preso in causa, dalla casa-famiglia in cui vive… dagli stessi che hanno tutto l’interesse che la situazione rimanga invariata, che non vogliono che il bambino torni a casa. I soggetti sono gli stessi che sperano che gli affidamenti siano tanti e lunghi”. Quindi i servizi sociali hanno pieno potere e sono liberi di amministrarlo nel peggiore dei modi: “Il potere glielo danno i giudici – spiega – L’assistente sociale di per sé non ha uno strumento per fare questo certo tipo di cose. O, comunque, non ha uno strumento per farle in modo durevole. L’unica cosa che consente la legge, oggi, all’assistente sociale è la possibilità, in caso di emergenza, di prendere un bambino e allontanarlo dalla famiglia ma per il periodo dell’urgenza. Vale a dire massimo pochi giorni. Periodo che, per essere prolungato necessita di una decisione di un giudice. I terapeuti, gli psicologi, non hanno assolutamente gli strumenti giuridici per costringere la famiglia a soggiacere a quel trattamento”.

La buona fede non è un’attenuante

Senza contare che i cosiddetti “giudici onorari” di cui doveva essere composta parte del collegio giudicante erano spesso in conflitto di interesse: erano “psicologi, sociologi, medici, assistenti sociali. Che spesso hanno fondato istituti. E a volte addirittura le stesse case d’affido che prendono in carico i bambini sottratti alle famiglie, e proprio per un’ordinanza cui hanno partecipato”…Ma i giudici sapevano o semplicemente non si erano accorti di cosa stesse succedendo?  “In ogni caso è comunque grave”. La buona fede nn è un alibi quando sarebbe doveroso essere vigili. “Mi domando solo se sia possibile che dormissero se sono dieci anni che gli viene detto che non devono fare in questo modo, che non devono prendere per buona la relazione, ma devono verificare i fatti”.

Cristina Gauri

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