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Di Valerio Benedetti -12 Settembre 2019
Roma, 12 set – Cent’anni di rivoluzione. Cent’anni di arditismo. Cent’anni di spirito indomabile, indomato. Questo, e molto altro, è stata Fiume. La «città di vita», la «città olocausta» in cui tutto ardeva di passione, guerra, festa, baccanali, canti e amor di patria. Com’è noto, il 12 settembre 1919 partiva la marcia di Ronchi. D’Annunzio, alla testa dei suoi Legionari, marciava verso un pezzo d’Italia che i Cagoia di Roma e Versailles avevano lasciato in mano allo straniero. Un’accelerazione rivoluzionaria che risuonò come un pugno nello stomaco ai vari cagadubbi e pantofolai che popolavano il Parlamento. Da allora, nulla sarebbe stato più come prima. Perché Fiume era ormai diventata un simbolo.
La rivoluzione verticale
Fiume come estremo baluardo di italianità. Come laboratorio rivoluzionario, come avanguardia sociale, come città dell’anima eroica e guerriera. Perché questo è stata Fiume: la Carta del Carnaro, le sperimentazioni corporative di Alceste De Ambris, i discorsi incendiari di D’Annunzio, l’Ufficio colpi di mano, le incursioni corsare degli Uscocchi, le feste orgiastiche, la cocaina, le riviste di Mario Carli e Guido Keller, le stramberie geniali di Marinetti e dei futuristi. Tutto e il contrario di tutto? Non esattamente. Perché la Reggenza del Carnaro non fu Woodstock, come qualche sessantottino con il parrucchino ha tentato di contrabbandare. No, la città di vita è stata sì «festa della rivoluzione», ma una rivoluzione verticale, centrata sul disperato amore per l’Italia e il disprezzo carnale per i Cagoia e gli intriganti di turno. La città olocausta è stata verticalità guerriera e libertaria al contempo, non certo ribellismo d’accatto e morale smidollata. Il Comandante non prometteva prebende e mangiatoie, ma solo il privilegio del combattimento.
Fiume nel destino
Ma perché l’impresa fiumana, a cent’anni esatti dalla marcia di Ronchi, è ancora attuale? Semplice: perché Fiume è vita, il nuovo governo giallofucsia è morte. Fiume è rivoluzione, il globalismo è reazione. Da una parte l’esuberanza virile dei Legionari, dall’altra i signorotti della finanza e i deputati del tradimento. L’impresa fiumana ci parla ancora, e il suo messaggio è un invito alla battaglia e alla risurrezione: marciare, non marcire. Per l’Italia, per il nostro avvenire. Fiume o morte, cantavano i Legionari. E avevano ragione: se il suo spirito morrà, anche l’ultimo anelito di vita e libertà della nostra nazione sarà spento. Perché, ormai sarà chiaro, solo Fiume ci può salvare.
Valerio Benedetti
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